Triathlon – Ironman – Embrun

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L’anno passato ho concluso l’Embrunman, la gara di triathlon più dura del mondo.
Devo essere sincero, è stata una sofferenza pura, esagerata.
Nessuna sosta per 14 ore.
Infinito, doloroso , senza una logica,  forse stupido. Non sono un professionista e queste gare sono una vera e propria scommessa. Oggi mi ritrovo di nuovo iscritto col pettorale numero 90.
Al via come l’anno passato. Con la stessa paura, forse maggiore, perché so cosa mi aspetta.
Però con la convinzione di portare avanti un progetto che ci porterà a intraprendere una raccolta fondi di cui vado già orgoglioso. Il tutto nasce da una chicchierata quasi scherzosa una sera fuori, oggi abbiamo un sito, una campagna raccolta fondi e una maglia da portare in vetta.

All’Embrunman mi ero ripromesso di non partecipare più.
Perché una gara così lunga non ha logica.

Però sono convinto che questa volta affrontare le mie paure sarà come affrontarle tutti insieme.
Sono convinto che faremo parlare di chi non può scegliere di non avere paura.
Faremo parlare di chi non ha un alternativa.
Lo faremo perché raccoglieremo soldi, e concretamente realizzeremo un’impresa insieme, scherzeremo dopo l’arrivo , ma avremo fatto qualcosa di grande.

Sarà scalare la montagna più alta.
Sarò felice e emozionato di aver concluso una missione impossibile.
Saremo tutti emozionati all’arrivo.
Sarete lì con me e insieme saremo vicini ai malati di Fibrosi Cistica.
Porteremo quella maglia e quel messaggio sulla vetta più importante del Tour de France. Dove Coppi e Bobet si davano battaglia nel primo dopoguerra.

Ho l’80% / 70% di possibilità di concludere per la seconda volta questa gara, sulla base delle mie possibilità e sulla base della mia forza fisica e mentale. Ma se anche sarò costretto al ritiro e avremo raccolto un solo euro, sarò la persona più felice al mondo.

Voi avete il 100% di possibilità di concludere la gara. Potete partecipare a questa iniziativa. Senza dubbi o timori.
Facciamo vedere al mostro, la fibrosi cistica, di cosa siamo capaci.

Vi voglio compagni di squadra, affiatati e convinti, con coraggio e forza mentale  !

 

Vi lascio con quest’altro pensiero: “quello che mi ha trasmesso una persona affetta da fibrosi cistica, mentre mi parlava della sua malattia, è un sentimento di precarietà e paura centomila volte più spaventoso di qualsiasi salita che abbia mai scalato, mare in cui abbia nuotato o strada deserta in cui io abbia corso. E’ più accecante e doloroso di ogni altra notte. Non è una scelta libera. Eppure quella persona mi dava  l’idea di essere affascinata dallo scoprire quella strada inesplorata, dal nuotare in quel mare o dallo scalare quella montagna. Come nello sport sono i momenti che fanno la differenza e immagino che non sia sempre così. Io penso che dovremmo dare a tutti questi ragazzi un messaggio di presenza e dovremmo formare, insieme a loro, prima di tutto una squadra che lotta con le unghie e con i denti. Come nello sport si guarda avanti e con impegno, costanza e voglia di vivere. Si sorride alle circostanze che la vita ci riserva. Fidatevi di me, con un gesto molto semplice possiamo riuscirci.
Passiamo la nostra borraccia a chi ne ha più bisogno. Facciamo qualcosa di veramente grande e sensato.
Di seguito un estratto della gara dello scorso anno. Penso che possa rendere un’idea. Solo per chi ha voglia di leggere.

L’Embrunman è 3.8 km di nuoto, 190 km circa di bici con 5000 mt di dislivello e la scalata dell’Izoard, una maratona con molto dislivello.

Un saluto e un ringraziamento.
Fabrizio

 

 

 

Embrun 15 Agosto 2014.

E’ un freddo ficcante.
La sensazione principale è quella d’aver toccato il fondo dell’autolesionismo estremo.
La domanda: “perché ?”; sempre presente negli ultimi anni di triathlon, ora è un coro di 700 voci dentro alla mia testa.
Un coro di voci bianche e stridule.

Ore 4.10 della mattina del 15 Agosto 2014, Risoux, 20 km da Embrun. Albergo le Rochasson.
Dispersi su una montagna a 1700 mt d’altezza. Qui, pochi giorni prima arrivava il tour.
Nibali e compagnia bella.
A Risoux passava lo squalo a vincere il tour.

Quello che ci ha accolto è un assordante rumore: il vento che soffia.
Partiti dall’Italia con una temperatura tropicale ci siamo ritrovati nel bel mezzo dell’inverno alpino.

Nel tempo di gara si nascondono nemici e storie. Le meduse , le onde, la corrente.
Di tutto , di più. Negli anni ho dovuto fare i conti con catene spaccate e problemi meccanici alla bici , infortuni, mari , laghi gelati , grandine e crisi in salita.
Resta il vento il nemico più subdolo. Quello che in maniera piuttosto discreta ti spezza le gambe una pedalata alla volta.
L’arrivo in Francia è stato da brividi. I brividi che ti vengono sentendo il freddo vento sibilante fuori dalla finestra della piccola pensioncina dove alloggiamo.
Ma ora non c’è un attimo di sosta ai pensieri. E’ già l’alba della gara. Speravi che questo momento non arrivasse. Mesi per decidere di venire fin qua su a farti del male. Ma il giorno della gara era sempre un’idea astratta, una specie di sogno vigile da visualizzare e tenere lontano. Un’impresa di cui vantarti, ma infondo una cosa lontana e poco concreta.

Invece qui è una mattinata buia piena di stelle. Ieri notte a letto alle dieci.
Siamo storditi e confusi.

Le ripeto più volte: “mai più una cosa simile !”

Dalla finestra ieri si intravedeva l’Izoard. Da internet immagini della partenza.
Tutto confuso e ingombrante. La testa è spenta. Il cuore terrorizzato.
Penso che l’unica cosa da fare ormai sia solo mangiare più fette biscottate e marmellata possibili. Questa è la mia massima ambizione in questo momento.

Il pregara fa paura. E’ un mostro alto e cattivo come la montagna che dovrò scalare.
Hai quel sentimento di chi sa che si sta per cacciare in un guaio grosso.

Un “ironman” ha paura di questa gara, sempre.
Sa di non essere mai abbastanza allenato.
Usciamo dall’albergo e scrutiamo le stelle. Stelle indifferenti al freddo.
Saranno 2 o 3 gradi. Il ferragosto freddo.

Il coro canta più forte. Ormai è l’unica cosa che risuona nella mia testa.
In albergo un ragazzo si prepara anche lui insieme a noi per partire in macchina verso Embrun.
Si ritirerà, non vedrà mai il traguardo. Col naso insanguinato e un’aspetto distrutto , avremo modo di incrociarlo alla reception il giorno dopo.
Ormai ci siamo, guidiamo con l’auto verso questa follia. Tornanti che inneggiano a Nibali , catrame dipinto che racconta il nome di Pantani. Tra Risoux e la zona in cui la gara parte. Circa una mezz’oretta.

Il problema è il nuoto, mi dico.
Uscire vivo dall’acqua!

In macchina un po’ di musica.
Sorrisi, frasi divertite. Occhi concentrati.
Immensa paura del buio.

La partenza al buio è a pochi minuti.
Il salto nel vuoto più grande è tutto in questi pochi minuti. Indimenticabile, forte , presente.

Ci sono volute le palle per non ritirarsi questa mattina.
Ci sono volute per andare in zona cambio e salutare tutto e tutti.

Eppure dovrebbe essere un divertimento. Ma dov’è l’errore ? mi dico divertito.

EMBRUNMAN , 15 Agosto 2014. ( la gara ironman più dura del pianeta )

Mi avvio con le mie cose al check point.
Poi indosso la muta e gli occhialetti.
Incontro prima del via gli italiani, una trentina.

Risate, abbracci, pacche sulle spalle.

Una banda di fratelli.
Tutti con la paura dipinta addosso. Veterani e non.

Impreco contro Matteo, amico e avversario. Mi ha voluto lui a Emmbrun.
Gli dico: “cosa cazzo mi hai convinto a fare ?”

Inizia una qualche indistinta musica. Parte un applauso infinito delle persone presenti.
Tutto al buio , illuminato da poche luci.

Si sente il colpo di pistola che da il via. Mancano solo 5 minuti.
Adrenalina a mille, battiti altissimi. Terrore.
La paura si trasforma in istinto di sopravvivenza. Ormai sono qui e non posso più scappare.
Sono circondato da mute e occhialetti.
Vedo la barca nel lago. Una luce piccola piccola da seguire.
Oggi ci indicherà la rotta.

Bang.

E’ il nostro colpo di pistola.
Sotto i miei piedi l’acqua fredda del lago. Non vedo nulla.

Mi lancio nel vuoto senza paracadute. Parte la gara.Inizio a nuotare e non penso che a respirare. Mentre l’acqua invisibile e nera mi entra fin dentro la muta. Sulla schiena. Ovunque.

Mi dico: “ci siamo, ora tocca a te sopravvivere in mezzo a questi matti che ti colpiscono a destra e sinistra, vediamo se riesci a farti questi 4 km al buio ! “.